L’italiano è stato per lungo tempo una lingua principalmente scritta, adoperata per usi letterari. Poi, nella seconda metà del Novecento, il suo diffondersi come lingua della vita quotidiana ha portato a un’evoluzione interna dell’italiano che ha causato un progressivo allentamento delle norme standard. Ciò ha portato alla nascita dei cosiddetti “italiani regionali”, cioè vere e proprie varietà linguistiche che, pur avendo una chiara connotazione regionale (soprattutto per quanto riguarda l’accento), sono largamente usate. Tuttavia, non tutti gli accenti regionali italiani condividono lo stesso prestigio. La prima descrizione del diverso peso sociolinguistico assegnato alle principali varietà regionali della penisola italiana è nel fondamentale volume di Tullio De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita (uscito nel 1963), in cui vengono individuate una varietà settentrionale, una varietà toscana (con Firenze come epicentro), una varietà romana e una varietà meridionale. Dal punto di vista del prestigio, romanesco e gli accenti settentrionali condividevano la posizione più elevata (la prima varietà grazie ai media), seguiti dalla varietà fiorentina, mentre napoletano e altri dialetti meridionali occupavano l’ultima posizione. Altre studiose hanno dimostrato che le varietà del Sud Italia sono spesso associate a stereotipi negativi (Maria Rosa Baroni nel 1983 e Nora Galli de’ Paratesi nel 1984). Tuttavia, pare che nessuna delle pronunce regionali sia riuscita a diventare un modello nazionale unificato e che ogni pronuncia regionale sia stabile e ben accolta nell’area in cui si manifesta.
Negli ultimi decenni, oltre agli accenti regionali, hanno cominciato a diffondersi anche i cosiddetti “accenti non nativi” ovvero le pronunce dell’italiano da parte di persone la cui madrelingua non è l’italiano. La presenza di parlanti non nativi di italiano è divenuta significativa grazie a vari fattori, inclusi flussi migratori, scambi culturali, e il crescente interesse globale per la lingua italiana. La diffusione degli accenti non nativi è particolarmente evidente nelle comunità multiculturali, nei contesti educativi e tra coloro che apprendono l’italiano come seconda lingua. I canali di comunicazione hanno contribuito ad aumentare l’esposizione a diverse varietà di accenti non nativi. Tuttavia, la percezione degli accenti non nativi da parte degli italiani può variare notevolmente e non tutti questi accenti ricevono il medesimo apprezzamento sociale. Se in alcune situazioni gli accenti stranieri possono essere accolti con interesse e apprezzamento per la diversità linguistica, in contesti più tradizionali o in situazioni di comunicazione formale, gli accenti non nativi possono talvolta essere oggetto di stereotipi negativi.
La scuola italiana di oggi è caratterizzata dalla coesistenza di diversi dialetti e lingue native all’interno dei singoli ambienti di apprendimento. Ciononostante, la scuola italiana ha tradizionalmente adottato una prospettiva monolingue, e ha dedicato un’attenzione limitata al mantenimento e alla valorizzazione della diversità linguistica (sia essa locale, regionale o riferita agli idiomi dei parlanti non madrelingua italiana). Questo atteggiamento ha trovato eco anche nella stampa generalista: nel settembre 2018, il dirigente di una prestigiosa scuola italiana con un alto tasso di studenti di origine cinese ha imposto a tutti gli studenti, dalla scuola materna al liceo, di parlare esclusivamente in italiano, non solo in classe, ma anche nei corridoi, nella mensa e durante il gioco e il tempo libero. La decisione è stata ben accolta. Alcuni mesi dopo, un’insegnante di un liceo classico nel sud Italia, in un’intervista a un giornale, ha affermato che i bambini svantaggiati, da soli, non si pongono l’obiettivo di essere linguisticamente corretti. Secondo lei, questa mancanza di motivazione è amplificata dagli insegnanti stessi, perché persistono nell’usare il dialetto locale parlando con i bambini facendo loro enormi danni. Ancora una volta, nessuno ha contestato l’opinione monolingue dell’insegnante. L’atteggiamento descritto in questi due esempi condanna le varietà non standard e non nazionali all’invisibilità e può rappresentare una seria minaccia per le persone culturalmente e linguisticamente diverse.
Nel 2020 Silvia Calamai, Rosalba Nodari e Vincenzo Galatà hanno condotto uno studio in 5 diversi istituti scolastici toscani, nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dalla Fondazione ALSOS (programma di ricerca 2018-2020 “Migrazioni e Migranti in Italia: Luoghi e pratiche della convivenza per la costruzione di nuove forme di socialità”), e come parte di un’azione trasversale all’interno di un altro progetto triennale (2018-2021), denominato “ConcertAzioni. Scuola e società in quartieri sensibili” e finanziato dalla Fondazione “Con i bambini”. I risultati hanno dimostrato come i docenti italiani abbiano aspettative più alte nei confronti degli studenti senza passato migratorio, mentre gli studenti con passato migratorio alimentano aspettative diverse, a seconda della provenienza. Le etnie con una storia migratoria meno recente ed “europea” (albanesi e rumeni) ottengono valutazioni migliori, rispetto a studenti con una storia migratoria recente ed “extra-europea”.
La percezione dello stereotipo sembra dipendere anche dalla reale conoscenza dei gruppi etnici: la maggiore presenza in classe di un particolare gruppo etnico, piuttosto che mitigare gli stereotipi negativi ad esso associati, sembra esacerbare la percezione negativa che si ha di quel gruppo e gli stereotipi negativi nei confronti di particolari gruppi possono inficiare la correttezza del processo di valutazione in aula, soprattutto nelle classi multilingui. Come suggerito da Vinicio Ongini nella sua Grammatica dell’integrazione, la consapevolezza, all’interno della classe docente, dei meccanismi di stereotipizzazione può essere il primo passo per contribuire a ridurre il fenomeno della “canalizzazione delle scelte”, ossia la decisione, culturalmente orientata, da parte di ragazzi stranieri, di proseguire i propri studi in un istituto tecnico o professionale piuttosto che iscriversi in un liceo, anche nei casi in cui vi sia un buon grado di successo scolastico.
È fondamentale che questo tipo di ricerche sociolinguistiche siano fatte insieme ai docenti, co-costruite e co-progettate. Durante le visite che il gruppo di ricerca italiano che fa capo a CIRCE ha fatto nelle scuole, si è sempre cercato di fare emergere il parere dei docenti, che più di ogni altro hanno contezza di quello che veramente accade nelle classi. Proprio per questa ragione riportiamo qui il commento di una docente, raccolto in una scuola fiorentina, particolarmente prezioso per noi: “Credo che la ricerca abbia un ruolo fondamentale per aiutarci a conoscere e divulgare le buone pratiche che, sono convinta, sono molto diffuse nelle scuole, anche se non sempre sono documentate adeguatamente o attuate in modo sistemico. Spesso si sente dire che gli alunni di origine non italiana rallentano la didattica e questo porta talvolta alla crescente polarizzazione in istituti scolastici o classi distinte di ragazzi di estrazione sociale e provenienza etnica omogenea. Questo è non solo ingiusto e contrario ai principi della scuola pubblica nata dalla Costituzione, ma anche profondamente sbagliato anche da un punto di vista educativo, perché sappiamo che i migliori ambienti di apprendimento sono quelli eterogenei. Dal mio osservatorio, credo che si debba dimostrare che è vero che la presenza di alunni di origine non italiana modifica la didattica, ma la cambia, in meglio, per tutti. Ciò che è diverso, inizialmente crea disagio, spiazza. Ci si può fermare qui, e costruire muri, creare classi e scuole dove vanno solo ‘stranieri’ e altre dove vanno solo ‘italiani’, oppure possiamo provare a crescere e cambiare. Lo spiazzamento relazionale e cognitivo porta a mettere in campo risorse inaspettate, a decentrare il proprio pensiero, a confrontarsi con gli altri. Dobbiamo far entrare nelle classi storie, lingue, dialetti con cui abbiamo la fortuna di entrare in contatto. E non come occasionali momenti, ma inseriti nella programmazione didattica quotidiana”.
Nelle società occidentali moderne il multiculturalismo è considerato perlopiù un valore positivo, mentre il multilinguismo è un concetto poco conosciuto, quando non esplicitamente osteggiato. I risultati di un recente studio sugli atteggiamenti dei docenti italiani condotto da Rosalba Nodari, Vincenzo Galatà e Silvia Calamai hanno mostrato che questa tendenza è presente anche nelle scuole italiane. Nel rispondere a un questionario sui pregiudizi linguistici, gli insegnanti erano concordi nell’apprezzare il multiculturalismo come un elemento positivo per l’ambiente scolastico, tuttavia la stessa consapevolezza non era presente per l’educazione multilingue e per la promozione di lingue straniere e accenti stranieri. Ciò conferma che la discriminazione contro gli accenti non standard (e stranieri) è più sottile rispetto alla discriminazione di genere o etnica. Come sostenuto dal professor Sik Hung Ng dell’Università di Hong Kong, sembra che la valutazione negativa degli accenti non standard e non nativi non sia percepita come una questione di pregiudizio o razzismo e parlare con un accento viene generalmente considerato un tratto reversibile che i parlanti possono controllare. Infatti, già nel 1983 la psicologa educativa statunitense Ellen Bouchard Ryan osservava che parlare con un accento viene visto come una mancanza di sforzo da parte dell’oratore che persiste nel mantenere una pronuncia che può addirittura compromettere la sua capacità di essere compreso, causando, alla fine, sentimenti di fastidio nei suoi interlocutori.
Baroni, M.R. (1983). Il linguaggio trasparente. Indagine psicolinguistica su chi parla e chi ascolta. Il Mulino: Bologna.
Calamai S., Nodari R., Galatà V. (2020). “Fregati dall’accento!”. Lo stereotipo etnico e linguistico nei contesti scolastici. Italiano LinguaDue, 12(1).
De Mauro, T. (1963) Storia linguistica dell’Italia unita. Laterza.
Galli de’ Paratesi, N. (1984). Lingua toscana in bocca ambrosiana: tendenze verso l’italiano standard: un’inchiesta sociolinguistica. Il Mulino, Bologna.
Ng S. H. (2007). Language-based discrimination: Blatant and subtle forms. Journal of Language and Social Psychology, 26.
Nodari R., Galatà V., Calamai S. (2021). Italian school teachers’ attitudes towards students’ accented speech. A case study in Tuscany. Italiano LinguaDue, 13(1).
Ongini, V. (2019). Grammatica dell’integrazione. Laterza: Bari-Roma
Ryan E. B. (1983). Social psychological mechanisms underlying native speaker evaluations of non-native speech. Studies in Second Language Acquisition, 5
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